I.nnocenza

Posted on 12 ottobre 2010

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Al fondo di tutto sta la fantasia di voler essere ciò che è meno, nell’illusione che il debole, la fragile, minori e sprovveduti siano posti al riparo dall’obbligo di credere in ciò che fanno, di essere giudici di se stessi, responsabili di accurati progetti; vivano, invece, una serena sottomissione fondata sull’ignoranza e sul timore di fronte a entità incalcolabili, sulla ripresa di singoli gesti insignificanti che altri hanno deciso; meglio ancora: una minorità in cui tutto è destino, essenza, natura, vocazione ecc.; in una parola: oggettività – senza capire che questa, nel migliore dei casi, è la ricostruzione compiuta da uno spirito ingenuo vissuto distante dai fatti, uno spirito che di solito non presta attenzione e non si prende cura; nel peggiore, l’esaltazione ordita da un propagandista.

Di che morte si muore

Viviamo a cavallo di una visione del mondo che per ciascuno si situa in un qualche punto – variabile, s’intende – tra fantasia e realtà. Col passare del tempo, con il cristallizzarsi della quotidianità, dei gesti abituali, dei paesaggi familiari, ci facciamo sempre più insensibili a ciò che si trova all’esterno della nostra varietas rerum, la quale scambiamo per tutto-il-mondo-possibile. Espungiamo, cioè, dalla nostra visione, tutto quanto stona con essa, tutto quello che rimane in-compreso da noi stessi. La realtà – neutrale, priva di essenze, pura esistenza fredda come una vodka ghiacciata – la distacchiamo dalle nostre giornate, l’allontaniamo da quella bolla di vita in cui per anni abbiamo soffiato per consolidarne le pareti. La fantasia prende il sopravvento, e lo fa nell’unico modo che conosce: mascherandosi da realtà.

Non c’è trucco e non c’è inganno, nessuna magia. Non c’è alcun asso nella manica, nessun filo nascosto, nessuna botola segreta. La fantasia diviene la realtà. Capita ai più.

Ma tutto ciò è pericoloso. Chi, in tutta sincerità, preferirebbe mai passare il suo tempo in una bolla di vita, che, per quanto luccicante, può esplodere da un momento all’altro?

Si può vivere una vita intera come sbirri di frontiera
in un paese neutrale, anni persi ad aspettare
qualcosa qualcuno la sorte o perché no la morte
ma la tranquillità tanta cura per trovarla
sì la stabilità un onesto stare a galla
è di una fragilità guagliò
è di una fragilità guagliò
forse un tossico che muore proprio sotto al tuo balcone
forse un inaspettato aumento d’ ’o pesone
forse nu licenziamento in tronco d’ ’o padrone
forse na risata ’nfaccia ’e nu carabiniere…

Vivere sulla lama sottile della paura, secondo le direttive di un disconoscimento feticistico: «Lo so bene, ma comunque…». E affidare la propria esistenza alle braccia rachitiche della speranza.

Quando questo accade, quando la fantasia si giustappone alla realtà, il soggetto si veste di una presunta innocenza, si costruisce una verginità fittizia, elude qualsiasi teodicea. Ed io trovo che, senza mezzi termini, questo genere d’innocenza sia colpevole.

L’innocenza di tal guisa è un crimine. Andrebbe sanzionata. Equivale a una deliberata cecità, un comodo handicap per godere della pietà altrui – se non della pubblica assistenza. Non ci si può professare innocenti di fronte al Male, al Potere, perchè significa dare loro spazio e linfa. E nemmeno di fronte all’Altro, perchè così diventiamo i complici del suo assassino. Come Giuda.

 

 

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