Questo accade, in un amore postmoderno.
Ho deciso di non fidarmi dei palindromi, impossibilitati come sono a uscir fuor di sé. Solo chi si travalica può congiungersi con gli altri e costruire un senso, al linguaggio, come all'esistenza.
Per uscire da questo spaesamento linguistico, per ristabilire un orientamento in un tempo privo (o stracolmo, che è lo stesso) di coordinate, per identificare e poi soddisfare una serie di bisogni fondamentali, è necessario, a mio modesto parere, costruire esattamente una nuova rete simbolica. Non simboli nuovi, ma connessioni nuove tra elementi di un arsenale simbolico già esistente. Una nuova simbolica, vale a dire una nuova dimensione linguistica. Una nuova narrazione.
La provocazione può dunque essere intesa come "la parola a favore di" o "il discorso che causa". A me pare che una parola che produca degli effetti positivi sia una buona parola. Una provoc-azione è dunque una buona azione.
Se io uccido le mie memorie, annullo e rifiuto ogni tipo di appartenenza, mi privo di qualsiasi bene materiale et omnia mea mecum porto, cosa sono io allora? Io sono la mia lingua madre.
febbraio 16, 2011
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