Un mio amico poeta afferma che
Il divario non è l’altezza della scrittura, ma quella dell’autore, che emancipa il lettore dalla lotta contro la propria morbosità e lo innalza.
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Questo blog è nato un anno fa esatto. E’ nato perchè nel mio isolamento sempre più spinto dal mondo reale mi sono venuti a mancare quei pochi interlocutori di cui mi circondavo, e con cui facevo rimbalzare riflessioni e parole. E’ nato con lo scopo di sistematizzare dei nuclei di pensiero e di abbozzare spunti di narrazione. E’ nato, in una parola, per un sentimento di solitudine.
La solitudine è, ça va sans dire, il più egocentrico dei sentimenti, nella misura in cui colui che lo prova tende a piegare, più o meno consapevolmente, le esistenze del suo mondo circostante al proprio bisogno di compagnia. Detto altrimenti, la solitudine è quel sentimento che cerca sempre, senza mai riuscirci perfettamente, di uccidere se stesso.
Si tratta dunque di una dialettica infinita tra sociabilità e ribrezzo del mondo, autarchia (morale, emotiva, materiale) e dipendenza, Altro e Sé. Una dialettica il cui punto di equilibrio – come qualsiasi punto vero di equilibrio – è mobile. Questo blog, nel corso dell’ultimo anno, è stato il mio punto di equilibrio.
Io ora nutro nei suoi confronti una forma di risentimento. Ri-sentimento: due volte sentimento. Mi ha posto di fronte ai limiti del mio pensiero e della mia scrittura ma non si è curato d’incoraggiarmi a superarli. Mi ha esposto al mondo – l’infinitesimale mondo di chi è passato a leggere queste pagine, e l’ancor più piccolo (ma apprezzatissimo) universo di chi si è fermato a commentare e discutere – e ha fatto mostra di quegli stessi limiti, così come ha messo in luce i miei grumi di ossessione. Mi ha spogliato e continua a spogliarmi di identità (al plurale) e mi ha lasciato bisognoso di ascolto. Per questo io sento nei suoi confronti attrazione e distanza. Due sentimenti: risentimento.
A un anno di vita, questo blog è ciò che rimane di “io”.
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Vorrei dire al mio amico poeta che si sbaglia, e per molti motivi. Perchè non c’è un autore, il quale scompare dietro dei possibili percorsi di significazione: a,b,c,d,e,f. Perchè non c’è emancipazione, dato che non c’è un soggetto da emancipare. Perchè non c’è alcun innalzamento – al massimo uno scarto laterale. Vorrei ma non posso. Perchè non ho alcun problema a riconoscere che scrivere per farsi leggere è in buona parte un esercizio di narcisismo, ma se dicessi quelle cose farei solo un esercizio di presunzione (letteralmente, del presumere cose non vere), e quindi, di stupidità.
Come dire? «Ci sono dei cretini che hanno visto la Madonna, e ci sono cretini che non hanno visto la Madonna. Io sono un cretino che la Madonna non l’ha vista mai. Tutto consiste in questo: vedere la Madonna o non vederla»
Giuseppe Maria Desa da Copertino, santo che vola, protettore dei piloti e degli studenti
Giacomo Alfredi
27 ottobre 2010
Parole, le tue, che sanno di amicizia. Questo è il sentimento che provo quando qualcuno mi mostra delle foto simili alle mie. Anche il mio piccolo blog, fotografie di attimi di vita vissuta, “adesso”, altro non è che un egocentrico tentativo di restare solo. Ma nel mio caso non è solitudine che uccide, ma solitudine che contempla e, scrivendo, fotografa ciò che è già morto, se per morte si intende quell’andare “altrove” che ci regala l’infanzia e che ci scalda il cuore per tutta la vita. Forse per questo non ci liberiamo mai di “lei”: perché come la morte è tanto vicina alla vita quanto la poesia che avremmo voluto vivere e che, scrivendo, “tentiamo” di raccontare. Parlando per me, se fossi vivo, non scriverei e nemmeno tenterai di superare i miei limiti per farlo; tentativi che rappresentano la voglia di comunicare: “… ma il calore del mio cuore è qui: prendilo!”. Ma se fossi vivo non sarei “poeta” (colui che ama l’altrove), e non essere “poeta” vuol dire accontentarsi della capacità di volare solo con le ali.
Ciao, Giacomo.