Avevo già scritto – in termini non troppo lusinghieri – di ciò che penso dell’italico rituale dell’aperitivo, del suo valore di fatto sociale totale e del suo simbolismo. Si capisce, tuttavia, che proprio questa sua funzione simbolica non ne fa il centro delle mie considerazioni, ma solo lo strumento: parlare dell’aperitivo significa in verità parlare di un tempo e un luogo, e di chi in essi vive.
Anni e anni di trincea al bar – sia davanti che dietro al bancone (ma prevalentemente davanti) – mi hanno reso un esperto della materia. So tutto su come si allestisce un buffet, cosa preparare avendo un occhio ai costi e l’altro alla clientela; ho sperimentato aperitivi classici, regionali, etnici, a tema, anticipati (“entrare in un bar alle quattro del pomeriggio per bere un caffè e uscirne 12 vodka-sour dopo” mormorava Capossela) e posticipati – nulla di più delizioso del sorriso complice di un barista che ti serve uno spritz all’una del mattino.
E’ in base a quest’esperienza che posso permettermi di esprimere la mia incondizionata ammirazione per il Miroglio Caffè e soprattutto per il suo barista Massimo. Lasciate che vi racconti.
Ne avevo letto qui e mi ero incuriosito. Ieri, uscendo da un noioso colloquio di lavoro – m’imbarazzano sempre i colloqui di lavoro, perchè mi costringono a fare sfoggio delle mie capacità, a comando – non lontano dal bar, decido di andarci. L’atmosfera è tra il classico e il kitsch, le sedie un po’ scomode. Appena entro Massimo – scoprirò che si chiama così origliando una conversazione – mi chiede cosa voglio.
– Uno spritz.
– Aperol o Campari?
– Aperol. Poco ghiaccio e fettina d’arancia.
Bene, conosce l’ABC. Non faccio in tempo a sedermi che mi arriva lo spritz. Neanche venti secondi, trasalisco. E sospetto carognoso che l’avesse già pronto – un sospetto che si rivelerà infondato dopo aver osservato la preparazione del secondo drink. Lo assaggio ed è perfetto. Insieme al bicchiere mi serve una ciotolina di mini-tartine, verdurine fritte e pastelle salate varie. Apro il libro che mi ero portato e con le dita unte comincio a sfogliarne le pagine.
L’osservo, e lui spesso se ne accorge, tant’è che diverse volte i nostri sguardi s’incrociano. Nasconde sotto le maniche della giacca delle braccia tatuate e cura maniacalmente i suoi baffi a ferro di cavallo e la mosca ad essi parallela. E’ elettrico, rapidissimo, impeccabile nei modi e nei gesti; nei momenti di vuoto si allena dietro al bancone a far piroettare delle bottiglie. Gli porto il bicchiere vuoto al bar e gliene chiedo un secondo, e mentre vado a servirmi al buffet, lui me lo fa trovare pronto al tavolo. La serata prosegue tra spritz e piattini di pasta fredda, polpettine, pizzette e torte salate.
Rapidamente si fa strada in me una sensazione nuova – o meglio, un’assenza di sensazione: non mi sento più spaesato. E non si tratta di una questione di lingua o di abitudini note, si tratta d’altro. E’ una questione di attenzione: quell’uomo dietro al bar è una persona attenta. Con un barista così mi sarei sentito a mio agio ovunque: questo vuol dire tantissimo, e lo mette sul mio personalissimo piedistallo. I suoi occhi saettano da un lato all’altro del bar e tengono tutto sotto controllo: le ordinazioni, le preparazioni, la pulizia del bancone e dei tavoli, l’allestimento del buffet. Massimo non manca un colpo. Questo genere di professionisti è rarissimo, e solitamente lo si ritrova in quei mestieri che occupano i gradini più bassi della gerarchia sociale. Sentirmi accudito da una persona a cui affiderei le sorti della mia vita mi fa sentire protetto, mi fa sentire davvero a casa.
Gli chiedo dov’è il bagno e me lo indica. Nel bagno campeggiano su un muretto due volumi d’arte e sulle pareti sono affissi poster di mostre e pittori. Capite? Uno va nel cesso di un bar e si sfoglia una monografia sul Pontormo – il Miroglio Caffè meriterebbe un premio solo per questo. Faccio quello che devo fare ed esco. Trovo il mio tavolino perfettamente sparecchiato e con sopra una piccola caraffa d’acqua e un bicchiere pulito. Sono alla commozione.
Chi ha frequentato con costanza e dedizione l’alcol sa che esso – paradosso dei paradossi – disidrata. Massimo lo sa e ti fa trovare l’acqua al tavolo dopo che hai pisciato. Non mi era mai successo prima, e per questo so di volergli già bene. Ne bevo due bicchieri, e mi sento così contento che decido di festeggiare con un giro della staffa. Mi reco al bancone e non faccio in tempo ad alzare la testa che Massimo mi chiede se può offrirmi un caffè. Signorile.
– No, ti ringrazio. Vorrei uno shot… che rhum hai?
Mentre scruto la mensola delle bottiglie cercando d’indovinare la marca di quelle più nascoste, lui non esita un secondo, apre uno sportello e tira fuori una scatola intonsa di J.Bally, un prezioso rhum agricolo della Martinica. La sequenza dei gesti, sempre rapidi e precisi, è perfetta: tira fuori la bottiglia piramidale dalla scatola in cui era incastrata; toglie via la plastica di sicurezza dal tappo con un unico colpo; si volta e afferra due bicchierini; stappa la bottiglia e ne riempie uno fino in cima e l’altro fino a metà; richiude la bottiglia; raccoglie la plastica dal banco e la getta immediatamente; va a posare il J.Bally tra gli altri rhum; torna al bancone; mi porge il bicchiere pieno fino all’orlo e afferra quell’altro. Ordine, precisione, accuratezza.
– Ne approfitto anch’io. Salute!
Ha capito tutto. Ecco un uomo che sa leggere il suo Prossimo ed accogliere l’Altro, ricoprendolo di attenzioni e cure.
Pronto a pagare oro per un trattamento del genere – anche se fosse un inganno, anche se fosse solo il rapporto professionale tra un fornitore di servizi e un cliente, anche se fosse solo una farsa – mi ritovo a sborsare una cifra assolutamente ragionevole per gli standard parigini. Esco, e le strade invase di turisti e stranieri mi fanno ora sorridere, perchè ora sono loro a camminare nel mio barrio…
Imolese
6 agosto 2010
Dio mio. Quel che hai scritto e che hai sperimentato è meraviglioso e credo che Massimo dovrebbe esserne fiero. Io fossi in te quasi quasi manderei questo post al loro sito, forse è un riconoscimento che si meritano davvero!
Sto giusto ora leggendo un libro che parla precisamente di questo esatto concetto: la passione e l’attenzione gratuita che solo chi mette dell’arte nel suo lavoro sa tirar fuori e sa trasmettere agli altri. Si chiama “La chiave di svolta” di Seth Godin. Forse un po’ troppo ottimista (o forse siamo noi italiani per forza di cose a essere molto pessimisti), ma profondamente vero. Secondo l’autore è proprio questa capacità a fare la differenza e anche a creare le basi per un’economia non più basata sul vecchio meccanismo “padrone che comanda-dipendente che obbedisce”. Se l’autore fosse stato a Parigi in quel caffé sicuramente avrebbe messo Massimo negli esempi di cui il libro è pieno.
Inutile dire che, un po’ perché già di questo caffé avevo letto su Italiani Pocket e un po’ per la tua esperienza, al prossimo passaggio a Parigi farò di tutto per andarci (anche se non bevo alcolici, Massimo mi perdonerà).
abcdeeffe
6 agosto 2010
Eh, se passi da loro è probabile che mi troverai appollaiato su uno sgabello, ho deciso di farne la mia seconda casa! 😉
Viarigattieri
6 agosto 2010
me lo sono perso, vedrò di tornarci. capisco e condivido il discorso sull’attenzione, ma dal sito sembra troppo un bar signorile per essere “il” bar(rio), per quanto possa essere piacevolissimo passarci – o andarci di proposito per Massimo. chiaramente dipende poi da che tipo di bar cerchi, ma tendenzialmente (nonostante la non eccessiva simpatia dei gestori) uno che a me stava molto simpatico era il carillon di rue Bichat, ma siamo su tutt’altro stile.
abcdeeffe
6 agosto 2010
Si, a dire il vero io lo trovo kitsch, ma non mi formalizzo. Non cerco mai alcuna presunta estetica dell’originalità. Conosco la zona del 1o°, è piena di bar interessanti…
Viarigattieri
6 agosto 2010
e non avevo idea che l’intro di scivola vai via di quell’album fosse presa da lì, e te ne sono veramente grato
abcdeeffe
6 agosto 2010
Ti potrei fare un lavoro filologico accuratissimo su Capossela, ha pescato a mani basse ovunque, a volte rielaborando, ma spesso ripetendo… in musica come in scrittura. Caso più lampante? Confronta queste due:
1) http://www.youtube.com/watch?v=xww2P4JTz-8
2) http://www.youtube.com/watch?v=GrpqWxvCqNA
Viarigattieri
6 agosto 2010
in generale certo, tom waits è presentissimo in diversi dei suoi pezzi, ma su questa canzone specifica ho sentito capossela raccontare la storia esatta, a Catania, nell’estate del 1998 o 99 (la suonava in anteprima, era il tour con la kocani orkestar e canzoni a manovella sarebbe uscito solo un anno dopo). Uno dei suoi migliori amici è catanese o giù di lì, e una volta per caso intonò questo ritornello popolare sìculo che dice: “e su puttaru, al camposanto”, con quella cadenza lì. Capossela rapito chiede all’amico: e come continua? E l’amico, giustamente, gli dice: non continua. Effettivamente è una cosa che si canta da bambini e neanch’io sapevo come continuasse, forse perché semplicemente non continua. E allora lui si è inventato il seguito, giocando su quel ritmo e continuando di sua inventiva…
Marina MIROGLIO
28 agosto 2010
Ho letto, riletto e ancora letto il bellissimo testo che hai scritto sul mio caffé e su Massimo ! Dirti grazie mi sembra alquanto insufficiente, cio’ che hai scritto è già di per sé una meraviglia di bravura letteraria, ma soprattutto hai saputo tradurre in parole cio’ che ho pensato e sognato creare in tutti questi anni di uscite parigine alla ricerca di un locale che assomigli anche lontanamente ai caffé torinesi. Luoghi nei quali ho “vissuto” , grazie ai loro barman e camerieri, alla loro atmosfera e alle loro delizie, liquide o mangerecce, gli anni più mitici della mia vita. Queste sensazioni che hai descritto sono quelle che mi hano dato l’energia per finalmente realizzare questo “caffé torinese” nella realtà.
Quando termini il tuo testo con “Esco, e le strade invase di turisti e stranieri mi fanno ora sorridere, perchè ora sono loro a camminare nel mio barrio…” beh, da quando l’ho aperto, anch’io mi sento per la prima volta, dopo 25 anni, a casa… a Torino, e il mio più grande piacere è che ogni italiano che entra al Miroglio caffé si senta come te, accolto, accudito, protetto… a casa. Un grande grazie, che spero potertelo dire presto di persona.
abcdeeffe
29 agosto 2010
I ringraziamenti toccano a me, tutt’altro! Ora sono un po’ indaffarato, ma appena posso vi passo a trovare!
Fabio
6 ottobre 2010
ciao!
un post veramente bellissimo! oltre ad avere un bello stile di scrittura, mi ha molto interessato l’argomento – sono uno studente e aspirante barista dopo un corso e qualche esperienza saltuaria.
se ti interessano locali carini a parigi ti posso consigliare il “fumoir” (di fronte alla fermata della Metro louvre rivoli), il “footsie” in rue daunou (vicino a M opéra) e l’ “harrys bar”, di fronte al precedente (famoso per aver dato i natali a molteplici cocktail, come sidecar, white lady, blu lagoon e bloody mary).
buon proseguimento
ciao
abcdeeffe
6 ottobre 2010
Grazie mille per le dritte Fabio, e in bocca al lupo per la tua carriera di barman! 🙂
Marina Miroglio
31 maggio 2013
Il Miroglio caffè si è trasformato in “Miroglio caffè Nomade”… l’ho chiuso fine gennaio, e da allora organizzo delle Serate nomadi, dagli altri… in caffè, ristoranti, sale concerti di Parigi.
La prossima sarà il giovedi 6 giugno, da SELECTIVE ART Kfé, nel 6°, un locale che ti piacerà per la sua originalità.
E ci sarà il famoso miscelatore torinese Fulvio PICCININO, l’esperto italiano in “cocktails d’altri tempi”, per una serata “Futurista”, con “polibibite” e “placafame” di cent’anni fa.
Se ti tenta, guarda su Facebook : Soirée Apéro-dînatoire AERO-APERO FUTURISTE”.
Spero vedervi! Marina Miroglio
Laura
6 gennaio 2016
Io non amo leggere ma chi scrive è un genio… faccio la barista da 6 anni e sono tutte cose utili e alcune che faccio già.. ho letto quasi tutto sull artico completo ma questa è la parte più utile