Una bianca tortorella, sorvolando una foresta con uno stagno, si accorge che al bordo di esso un caimano sta esalando i suoi ultimi respiri. Decide così d’interloquire con il feroce animale, nella speranza di condurlo, in punto di morte, a rinnegare il suo passato di predatore.
Tortora: Giunto a questi istanti finali, non ti attanaglia il rimorso per tutta la sofferenza che la tua arroganza, la tua brama di sangue, la tua incontinenza hanno generato nel regno degli animali? Non ti penti per i misfatti che hanno marcato la tua vita?
Caimano: Pentirmi? E di cosa mai?
T.: Dell’incommensurabile violenza che hai esercitato sul prossimo tuo, su di un numero incalcolabile di essi!
C.: Violenza? Ma di cosa vaneggi? Io non ho mai esercitato alcuna violenza!
T.: E le tue vittime? Le vittime delle tue fauci insaziabili, dei tuoi denti aguzzi? Non ricordi forse le urla di dolore e di disperazione che esse lanciavano di fronte ai tuoi attacchi? Hai per caso dimenticato che l’intera foresta ti conosce per solo per il ghigno stampato sul tuo volto e per la brutalità dei tuoi morsi?
C.: Io non ho mai fatto alcuna vittima, questa è un’invenzione bella e buona! Io sono un caimano; forse tu, uccellino dalle piume chiare e terse, te ne dimentichi.
T.: E con ciò? Avresti sempre potuto scegliere una condotta più consona all’equilibrio del creato, evitando di seminare terrore e morte!
C.: Tortorella, tu voli serena e spensierata tra le nuvole, ti lasci cullare dalle brezze, e guardi questa terra dall’alto, da lontano. Ma quaggiù, se osservassi meglio, se camminassi tra gli altri animali invece di volare, vedresti bene che nella foresta vige solo la legge del più forte. Non c’è armonia nel creato, non c’è equilibrio. Al contrario! La natura è in sè il più crudele e osceno degli spettacoli! Tu sembri ignorare che io sono un caimano, e tutto ciò che io faccio è iscritto nella mia stessa natura. Non vorrei darti una delusione, ma ti prego di credermi: non esistono caimani buoni!
T.: A maggior cagione avresti potuto tu per primo dare l’esempio! Negare la virulenza degli istinti e privilegiare la scelta dell’etica! Avresti potuto rifiutare la violenza!
C.: E lasciare così che il pitone o il leone si ergessero a giudici della mia vita? Se anche io avessi fatto come tu dici, chi avrebbe fermato il pitone dallo stritolarmi o il leone dall’addentarmi? Io ho ucciso per non essere ucciso, ho giudicato della vita e della morte altrui affinchè nessuno giudicasse della mia esistenza, ho persino insegnato a uccidere affinchè chi da me apprese a stare al mondo mi dimostrasse poi la sua fedeltà e riconoscenza. Il sangue versato, tortorella ingenua, non lo devi addebitare a me, ma a quelle che tu chiami vittime, perchè esse non sono state in grado di difendersi! Ho ascoltato infinite suppliche, interminabili richieste di pietà, noiosissimi quanto ridicoli inviti a redimermi, senza contare le accuse e le infamità lanciatemi contro da quelli che il destino ha voluto sfuggissero alle mie zanne. Idiozie, belle e buone. Io ho solo seguito l’istinto che è in me, e di questo non mi si può certo biasimare!
T.: E la violenza? La crudeltà? L’incontinenza stessa della tua sete di sengue? Anche quelle sono iscritte nella tua natura? O non sono piuttosto il frutto di una spirale di malavagità nella quale sei caduto e dalla quale non sei più riuscito a uscire?
C.: Ma di quele violenza vai blaterando? Credi poi di essere tanto diversa da me, tu che passi le giornate a stanare insetti e vermi? Non è forse crudeltà la tua? O pensi davvero che sia la maggiore taglia delle mie prede a fare di me un criminale? Con quale autorità pontifichi sulla violenza quando essa è parte integrante del mondo in cui viviamo, anzi, ne è la caratteristica principale? Guardati intorno, tortorella: lo vedi il leone che dilania la zebra? E il ragno che tesse le sue tele intorno alla mosca? E il falco che stritola il serpente tra i suoi artigli? La violenza è ovunque. Tu mi rinfacci i miei assassini; e alla Natura stessa, allora, cosa bisognerebbe rinfacciare? Chi come te predica la pace, tortorella, non conosce questa terra, proprio perchè vive tra le nuvole. Tu ed io siamo il prodotto di una stessa evoluzione, ma tu, rinnegando a parole la tua natura, ti copri di una giustificazione per i tuoi misfatti. Io, sbranando le mie prede, cammino invece nel solco di quell’evoluzione e uso il potere delle mie mandibole per saziare quella sete di sangue che non ho scelto, ma che è nata con me!
T.: Ma tutto ciò è…
La tortorella non fa in tempo a finire la frase che il caimano, con le sue ultime forze, l’azzanna in un lampo e la fa scomparire tra le sue fauci. Per non aver saputo comprendere la natura della violenza e la violenza della natura, fu così che la tortora ne morì.
Giacomo
14 dicembre 2009
Direi che da diversi secoli stiamo ancora a interrogarci sul valore prescrittivo dei fatti, del passato, della natura (entità, quest‘ultima, di particolare autorevolezza) ecc. E il bello è che il discorso filosofico al riguardo corre del tutto parallelo all’argomentazione corrente, pubblica, in sede di c.d. società civile (quotidiani, chiacchiere al bar, su FB ecc.).
abcdeeffe
14 dicembre 2009
Già. Sarebbe interessante capire le motivazioni di questo parallelismo. Ma in sè, mi pare che esso stesso costituisca un fatto. E io, per antica formazione, provo ancora meraviglia di fronte a chi nega o contesta o disarticola non tanto il valore prescrittivo quanto quello epistemologico dei fatti. E’ un limite, forse, ma ancora non riesco a superarlo.
Giacomo
15 dicembre 2009
Io sono ancora più limitato (ai limiti – anzi: oltre i limiti dell’infantilismo): odio i fatti di un odio viscerale.
E ho sempre percepito l’appello ai fatti (anche solo in funzione esplicativa o prudenziale) come un farsene avvocati e portavoce e in fondo in fondo dichiararsene innamorati ecc.
Es. stupro –> condanna MA non è prudente andare vestiti in quel modo a quell’ora in quel posto; oppure: violenza su persona omosessuale -> condanna MA si deve tenere conto della sensibilità e intellgenza immature che conducono molti a percepire come offensivo ecc. L’appello ai fatti, la loro semplice descrizione, il semplice sguardo rivolto ai fatti implicano un’accettazione del limite che essi rappresentano: li ho sempre percepiti come forme di indulgenza (la colpa più grande!) nei confronti dei propri e degli altrui limiti, di condiscendenza verso la natura violenta della realtà ecc.
(Stesso discorso in questi giorni coi distinguo sull’aggressione a B.)
Giacomo
15 dicembre 2009
(Il discorso è impreciso, non rigoroso, lo so: ma è una cosa che tuttora mi sconvolge nel profondo e che non riesco a formalizzare in modo più chiaro.)
Questo per non essere indulgente verso me stesso! 🙂
abcdeeffe
15 dicembre 2009
Che dei fatti ci s’innamori è vero. Ed è un amore pericoloso, cieco, profondamente ideologico. Ma coloro che amano i fatti hanno questo di peculiare, che vivono un amore il quale si nutre dei suoi concorrenti, di quelle altre persone, cioè, che amano anch’esse i fatti. Guarda Travaglio per es., ha anche scritto un libro intitolato “La scomparsa dei fatti”: ne è sommamente schiavo, esattamente come un innamorato lo è. La sua frustazione nasce dal fatto che il suo amore non è socializzato ed è comunque ristretto a una nicchia di pochi adepti. Ma l’identificare il limite intrinseco dei fatti, come giustamente osservi, dovrebbe a maggior ragione fare vedere i limiti intrinseci delle interpretazioni sui medesimi – limiti elevati alla seconda, per così dire. Il fatto in sè – se tal cosa esiste – è un concetto limite, che ci richiama al rigore di una metodologia analitica. Il limite dei fatti sta, io credo, non tanto in essi, quanto in chi li osserva.
(E sull’aggressione a B. nessun distinguo da parte mia: l’aggressore ha fatto bene, e per ragioni sia di carattere emotivo che di carattere simbolico: in breve, ha consentito di sfogare in maniera relativamente innocua frutazioni sociali accumulate da anni e ha mostrato che il re è nudo)
abcdeeffe
15 dicembre 2009
ERRATA CORRIGE: “Guarda Travaglio per es., ha anche scritto un libro intitolato “La scomparsa dei fatti”: ne è sommamente schiavo, esattamente come un innamorato lo è del proprio oggetto di desiderio”